A un anno dalla nascita, il Fashion Pact traccia un bilancio dei primi provvedimenti adottati e ricorda gli obiettivi in materia di clima, biodiversità e oceani da concretizzare per realizzare lo sviluppo sostenibile dell’industria della moda.

Il Fashion Pact – lo ricordiamo – è l’iniziativa promossa nel 2019 al G7 di Biarritz dal presidente e CEO di Kering Francois-Henri Pinault, sotto l’egida del premier francese Emmanuel Macron. L’obiettivo, appunto, è promuovere un modello di business sostenibile per le aziende del fashion. Si tratta di un sodalizio unico nel suo genere, perché coinvolge direttamente i CEO delle aziende che vi aderiscono. Nel 2019 erano 32, oggi sono 62: il Patto rappresenta attualmente circa un terzo dell’industria della moda, 14 paesi diversi per oltre 200 brand! Una varietà, questa, che i vertici del Fashion Pact definiscono fondamentale per garantire un impatto duraturo lungo la catena di approvvigionamento.

Supportate da alcuni dei massimi esperti nel campo della scienza e della ricerca, le aziende firmatarie hanno fissato sette obiettivi tangibili a difesa del clima, della biodiversità e degli oceani, definendo anche un dashboard digitale di indicatori di performance o KPI per misurare i progressi realizzati.

 

CLIMA

Sul clima, i firmatari del Fashion Pact si sono impegnati a implementare cosiddetti Science Based Targets (SBTs), al fine di raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050. Tre, in particolare gli obiettivi dell’impegno:

  • attuare i principi della carta delle Nazioni Unite per la sostenibilità della moda
  • entro il 2025, ottenere un approvvigionamento di materie prime che siano per il 25% a basso impatto ambientale
  • raggiungere il 50% di energie rinnovabili entro il 2025 e il 100% entro il 2030

A livello di risultati, è chiaro che siamo ai primi passi, ma qualcosa si sta già muovendo. Molte aziende stanno procedendo in autonomia nelle aree individuate come più strategiche dal Fashion Pact e sulle quali concentrare dunque gli sforzi.

I dati del report indicano al momento una riduzione complessiva delle emissioni GHG di 350-450.000 tonnellate (equivalente di CO2).

Vi sarebbero progressi significativi anche nella transizione verso l’approvvigionamento di materie prime a basso impatto ambientale. Un terzo dei firmatari sta rispettando la tabella di marcia per raggiungere il 50% di energie rinnovabili entro il 2025. Tre quarti comunicano in qualche forma i propri impatti sul clima, ma solo pochi utilizzano sistemi di rendicontazione ufficiali, cosa che il Fashion Pact intende invece incoraggiare.

Sulle materie prime, l’impegno dei brand a investire su alternative sostenibili sembra concreto e aperto anche alla collaborazione. Le iniziative censite non mancano: dalla collezione Prada di scarpe e accessori realizzati in nylon ottenuto dal riciclo della plastica dispersa negli oceani alla linea di borse di Bally, che ripolimerizzano fibre riciclate in tessuti prodotti interamente da filati pre-consumo e scarti di produzione.

 

BIODIVERSITÀ

Pur essendo un tema cruciale per le aziende che utilizzano le risorse naturali, l’attenzione alla biodiversità sta emergendo nel settore con estrema lentezza. Il Fashion Pact si è impegnato al riguardo per la salvaguardia delle specie in pericolo e la protezione e ricostruzione degli habitat a rischio.

I primi obiettivi concreti che i firmatari del Fashion Pact hanno fissato sono:

  • entro la fine del 2020, lo sviluppo di progetti individuali di biodiversità
  • entro il 2025, il sostegno alla zero-deforestazione e la gestione sostenibile delle foreste

L’80% delle aziende firmatarie non si era mai impegnato a favore della biodiversità prima di aderire al Fashion Pact, mentre la metà ha sottolineato come l’adesione al patto abbia in effetti incoraggiato nelle rispettive organizzazioni lo sviluppo di azioni o commitment contro la deforestazione.

Il 30% degli aderenti dichiara di aver mappato le proprie catene di approvvigionamento.

Il 20% dei firmatari ha condotto una valutazione del rischio per gli impatti e le dipendenze sulla biodiversità relativamente ai materiali-chiave.

Il 25% ha stabilito azioni prioritarie per evitare e ridurre l’impatto.

Tra le iniziative dei brand in ambito di biodiversità, citiamo il programma sviluppato da Burberry presso le aziende agricole per migliorare la cattura del carbonio nel suolo migliorandone la salute, ridurre la salinità delle zone aride e promuovere habitat bio-diversi. Inditex, dal canto suo, ha già stabilito che tutte le fibre artificiali utilizzate nei suoi capi proverranno da foreste protette.

 

OCEANI

Il terzo pilastro è quello degli Oceani, con un primo obiettivo fondamentale: eliminare tutta la plastica superflua presente negli imballaggi.

Le aziende aderenti al Fashion Pact si sono impegnate a:

  • completare l’eliminazione della plastica negli imballaggi B2C entro il 2020 e di quella negli imballaggi B2B entro il 2030
  • assicurarsi che almeno la metà degli imballaggi B2C e almeno la metà di quelli B2B sia realizzata in plastica riciclata al 100%, rispettivamente entro il 2025 e il 2030

Stando al primo anno di lavoro per la difesa degli Oceani, la percentuale di successo delle singole aziende non è sempre uniforme: il 60% dei brand del Fashion Pact, per esempio, è riuscito a eliminare la plastica dai sacchetti, mentre per gli appendini e le shopper destinate al consumatore la cosa sembra più complicata, visto che solo il 15% sostiene di aver raggiunto l’obiettivo.

Gli ostacoli da rimuovere affinché l’uso di plastica riciclata al 100% negli imballaggi prenda piede non sono pochi. La trasparenza o l’assenza di odori, ad esempio, sono caratteristiche che questo tipo di plastica ancora non garantirebbe appieno. Di qui l’esigenza di insistere sull’innovazione: la piattaforma lanciata dal Fashion Pact per favorire l’incontro fra le aziende firmatarie e il mondo della ricerca ha esattamente questo scopo.