Il cotone è di gran lunga la fibra naturale più popolare al mondo, molto usata anche nell’abbigliamento. L’ideale sarebbe che tutti i capi a fine vita potessero essere riciclati per produrne di nuovi: significherebbe tenere fuori dalle discariche milioni di tonnellate di rifiuti e offrire all’industria della moda un’alternativa sostenibile agli abiti realizzati con materiale vergine, con evidenti risparmi di acqua e un minor impiego di sostanze chimiche.*
Sfortunatamente, riciclare abiti di cotone per crearne di nuovi non è semplice. Occorre infatti tagliare i vecchi capi etrasformarli in materia prima, attraverso un processo che abbassa la qualità del cotone perché accorcia la lunghezze delle fibre. La lunghezza media del fiocco concorre a determinare la resistenza e la morbidezza del cotone filato. Maggiore la media, migliore la qualità. Ecco spiegato il perché le varietà di cotone con lunghezza media del fiocco extra-lunga, come la Supima, sono tanto apprezzate e perché persistono le resistenze dei brand della moda a realizzare prodotti con cotone riciclato.

Prendiamo il caso di Levi’s, che ha recentemente dato il via un massiccio programma di riciclaggio di abbigliamento negli Stati Uniti. L’azienda utilizza per la produzione di un capo il 20% al massimo di cotone riciclato, perché una percentuale maggiore porterebbe la qualità al di sotto dei suoi standard. L’azienda sta provando a risolvere il problema mixando al cotone riciclato cotone vergine con fibre extra-lunghe, ma nessuno, finora, è riuscito a escogitare un sistema su larga scala in grado di rivoluzionare il settore.

La H&M Conscious Foundation, fondata dalla famiglia Persson proprietaria del marchio H&M, spera di avvicinarsi alla soluzione attraverso il suo Global Change Award e il milione e 150mila dollari in palio per i cinque vincitori che avranno proposto le idee migliori “per chiudere” il cerchio, ovvero per produrre qualcosa di nuovo da materiale riciclato.
A decidere la ripartizione del premio fra i vincitori contribuiranno in parti uguali una giuria tecnica – di cui fanno parte il direttore di Vogue Italia Franca Sozzani e Ellis Rubinstein, presidente della New York Academy of Sciences – e il popolo della rete. I risultati saranno annunciati durante la cerimonia di premiazione in programma a Staccolma il febbraio dell’anno prossimo.

Il concorso non si limita alle nuove tecniche per il riciclo del cotone – non è questa la priorità… Come ha infatti chiarito Karl-Johan Persson, CEO di H&M, l’obiettivo è trovare «nuovi approcci nell’intera catena del valore dell’industria della moda, cambiando il modo in cui gli abiti sono disegnati, prodotti, spediti, comprati, usati e riciclati».
È chiaro, tuttavia, che trovare un modo per riciclare il cotone facilmente, senza comprometterne la qualità, potrebbe essere il tipo di innovazione a cui mira la Fondazione e un concorso potrebbe forse accelerare il processo.
La contraddizione sta nell’identità dei promotori – un brand di fast fashion come H&M che ha costruito il suo successo sul paradigma dei capi a basso costo “usa e getta”. Il cotone è la fibra che il marchio utilizza di più, ma la massiccia quantità che ne consuma è un problema di sostenibilità che finora non è stato in grado di affrontare. La “chiusura del cerchio”, nel suo caso, sarebbe arrivare a produrre gli stessi enormi volumi di abbigliamento ma con conseguenze minori per l’ambiente.

Il montepremi di 1.150.000 dollari divisi fra cinque persone rappresenta un incoraggiamento modesto, se paragonato ai 18 bilioni fatturati l’anno scorso da H&M, ma il pianeta trarrà beneficio da ogni progresso che il mondo della moda sarà in grado di conseguire in materia di sostenibilità, soprattutto per ciò che riguarda il riciclo del cotone.