È stata una due-giorni decisamente affollata di pubblico e di relatori, quella del Venice Sustainable Fashion Forum, in programma il 27 e 28 ottobre nella magnifica sede della Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio. Una cornice unica per un appuntamento a doppio timone: la prima giornata, intitolata Just Fashion Transition – a cura di Confindustria Venezia e The European House Ambrosetti, la seconda organizzata da Sistema Moda Italia (SMI) e Camera Nazionale della Moda Italiana (CNMI) sul tema The Values of Fashion..

Sul palco del Venice Sustainable Fashion Forum, il 27 e 28 ottobre scorso, si sono alternati molti, moltissimi ospiti, in rappresentanza di ONG, mondo della ricerca e dell’università, dell’industria e dell’impresa, dei brand e della filiera. E poi giornalisti, opinion leader, protagonisti della trasformazione sostenibile… Tutti insieme per indicare una strada condivisa di cambiamento e avviare un percorso di trasformazione basato su evidenze misurabili. Questa l’ambizione del summit costruito come una successione iper-ritmata di speech individuali, interviste a due e brevi dibattiti in cui ognuno ha portato la sua storia e il suo contributo di esperienza.

Ci hanno colpito, fra gli altri…

Inevitabile qualche sbavatura di autoreferenzialità, ma nella seconda giornata, soprattutto, non sono mancati racconti e opinioni notevoli. Citiamo fra gli altri Michael Ferraro, Executive Director del Design and Technology Lab del Fashion Institute of Technology di New York, che ha ispirato la platea proponendo alcuni esempi di innovazione applicata all’industria della moda: uno sguardo intelligente sul futuro del settore efficace anche in termini narrativi.

Molto atteso l’intervento di Marie Claire Daveu, Chief Sustainability and Institutional Affairs Officer di Kering, tra i brand più concretamente impegnati nella transizione sostenibile del proprio business. E il “concretamente” si riferisce tanto alla collaborazione con una rete estesa di startup per l’innovazione di prodotto e sui materiali, quanto all’ingaggio di una filiera produttiva che porta il peso forse più grande del cambiamento.

Altro brand molto attivo è Hugo Boss, rappresentato a Venezia da un Heinz Zeller, Head of Sustainability & Logistics, a cui non fa difetto la franchezza. Sull’affidabilità dei dati per la misurazione delle performance di sostenibilità, per esempio, Zeller insinua il dubbio, invita a riflettere sull’importanza di valutare gli impatti della produzione, più che dei singoli prodotti… Perché i dati servono per la trasparenza, ma devono essere veri per poter essere condivisi!

Sul fronte opposto che opposto non dovrebbe essere – quello della filiera – il CEO di Pattern Luca Sburlati ha esposto le difficoltà di chi lavora sul campo per trasformare i processi e ridurre l’impatto della sua produzione, agendo talvolta su imput dei brand, ma spesso anche per scelta strategica volontaria. Con quali ritorni? Ecco, su questo Sburlati invoca il gioco di squadra, ma invita anche a fare da soli. Perché se in attesa di accordare le voci, brand e filiera stanno fermi, sarà il mercato a scegliere chi vive e chi muore.

Da segnalare per autorevolezza la presentazione di Serenella Sala, Deputy Head dello Unit Joint Research Centre della Commissione Europea, incentrata su Life Cycle Assessment e impronta ambientale di prodotto (PEF). Si tratta in entrambi i casi di “strumenti” fondamentali per garantire l’autenticità dell’impegno per la sostenibilità, anche se con difficoltà di applicazione oggetto, proprio in questi giorni, di discussione.

Bello e d’ispirazione, infine, lo speech di Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e ambientalista di lungo corso. Il quale è partito dal grande impatto che la moda ha sull’ambiente e dai diritti spesso negati a cui è legato tanto import per suggerire una soluzione. Scommettere sulla sostenibilità e sulla bellezza, ecco la strada che dà futuro alle imprese, che le lega alle comunità e che rafforza il Made in Italy! Meno capi di maggiore qualità e durevolezza, più controllo della filiera, più buone pratiche economia circolare.

Quella che abbiamo di fronte, d’altra parte, è una rivoluzione che nei prossimi tre anni trasformerà letteralmente il sistema. Il che, come hanno sottolineato il presidente di CNMI Carlo Capasa e il presidente di SMI Sergio Tamborini, rappresenta per l’Italia un’opportunità enorme, ma anche un rischio da tenere sempre presente.

Aspettative per il futuro

Il bilancio di questa prima edizione del Venice Sustainable Fashion Forum è certamente positivo. Francesca Rulli apprezza lo spirito dell’iniziativa, l’idea cioè di raccogliere le voci e l’impegno di tutti gli stakeholder del fashion & luxury per avvicinare gli obiettivi di conversione del sistema alla sostenibilità. “Il lavoro che portiamo avanti con 4sustainability® a supporto delle imprese della filiera mi condiziona”, ammette scherzando. “Ma il mio auspicio, in generale, è che le realtà produttive trovino sempre maggiore spazio in questo genere di appuntamenti, che si parli sempre di più di dati d’impatto della produzione perché è sulla loro riduzione che abbiamo il dovere d’intervenire. Per decidere quale vestito o accessorio acquistare, il consumatore deve poter valutare i comportamenti produttivi del brand e la sua capacità di gestirne gli impatti, sono queste le informazioni di cui ha bisogno per comprendere quelle analoghe sul singolo prodotto! Non esiste modo di realizzare davvero la transizione, insomma, se non occupandosi con serietà di processi produttivi e di filiera”.