Chi è e cosa fa un Sustainability Manager, oggi? Dove si è formato? Quali soft skill caratterizzano idealmente il suo profilo? Lo abbiamo chiesto a tre professionisti di lungo corso, uomini e donne che la sostenibilità l’hanno scelta a prescindere dalle diciture sul biglietto da visita e che provano a integrarla ogni giorno in azienda come via strategica allo sviluppo.

Per affrontare le sfide globali della sostenibilità, l’industria della moda ha bisogno di un esercito di professionisti, risorse in grado di pensare sostenibile qualunque sia il loro ruolo in azienda. Product designer, supply chain manager, addetti alle vendite e alla comunicazione… Non importa avere la sostenibilità nel proprio job title per sviluppare competenze che il mercato richiede in forma sempre più trasversale. È tuttavia eloquente il dato per cui, negli ultimi dieci anni, il numero di posizioni aperte con la dicitura “sostenibilità” risulta decuplicato e che LinkedIn metta il Sustainability Specialist al secondo posto nella classifica delle figure più richieste.

I lavoratori qualificati in grado di fare fronte a questa domanda scarseggiano: secondo una recente indagine realizzata sempre da LinkedIn sui suoi 800 milioni circa di utenti, mentre la richiesta di green job cresce a un tasso annuo dell’8%, il numero di persone che indicano la sostenibilità fra le loro competenze cresce solo del 6% all’anno. Bene, dunque, che il numero di aziende con Chief Sustainability Officer sia triplicato – passando dal 9% al 28% tra il 2016 e il 2021 – ma questo è insufficiente a soddisfare le enormi opportunità commerciali riferibili alla sostenibilità. Nel fashion & luxury l’evidenza è lampante, con una fame di competenze green e social cresciuta in media del 90% all’anno solo tra il 2016 e il 2020.

Ma chi è e cosa fa un Sustainability Manager, oggi? Dove si è formato? Quali soft skill caratterizzano idealmente il suo profilo? Creatività, problem solving, capacità analitiche e di sintesi sono tratti comuni a molti professionisti oggi in forza ai brand e alle aziende più virtuose della filiera. Professionisti a cui il mondo accademico e dell’istruzione superiore dovrebbero ispirarsi per disegnare percorsi formativi indispensabili per ridurre la forbice tra domanda e offerta di risorse all’altezza.

Ne abbiamo interpellati tre, uomini e donne che la sostenibilità l’hanno scelta a prescindere dalle diciture sul biglietto da visita e che provano a integrarla ogni giorno in azienda come via strategica allo sviluppo: Luca Bruschi | Head of Sustainability di Successori Reda; Caterina Masi | Sustainability, Social Responsibility and Compliance Manager di Gruppo Florence; Chiara Morelli | Sustainability Director di primari brand del fashion & luxury. Ognuno di loro porta prospettive diverse, ma convergenti sotto più profili: quella di un’eccellenza del settore manifatturiero come Reda, quella di un polo produttivo integrato come Gruppo Florence e quella del brand di alta moda, appunto.

Come vi siete avvicinati alla sostenibilità e alla professione di Sustainability Manager?

L. Bruschi | La sostenibilità fa parte da sempre del mio percorso lavorativo, solo che all’epoca si parlava di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, di politiche ambientali… Il tempo ha strutturato e ampliato queste responsabilità via via che anche il mercato si accorgeva della centralità di certi temi. Le sollecitazioni crescenti da parte dei brand hanno fatto il resto, per cui ho cominciato a occuparmi anche di certificazioni di materia prima, tracciabilità, CSR… Insomma, un impegno a 360° tanto gravoso quando stimolante.

C. Masi | L’approccio alla sostenibilità, per quanto mi riguarda, risale al mio percorso di laurea in Chimica per l’Industria e l’Ambiente. Ho cominciato a familiarizzare in quegli anni con una materia che ho poi approfondito quando sono entrata in Giuntini. L’azienda, che da quasi settant’anni progetta e produce linee di abbigliamento per i brand più prestigiosi del fashion & luxury, mi ha offerto l’opportunità unica di sviluppare un sistema interno di chemical management, rispondendo allora a un input di Burberry. Una scelta lungimirante che si è presto allargata anche alla dimensione sociale della sostenibilità. Quando Giuntini è confluita in Gruppo Florence, mi sono portata dietro quest’esperienza fondamentale, come sanno esserlo solo i percorsi sul campo.

C. Morelli | L’amore per la natura e per il pianeta, l’interesse verso tutto ciò che può preservarne l’equilibrio risalgono all’infanzia, ai miei giochi e letture di bambina. Ho dato seguito a quell’inclinazione scegliendo un percorso di studi coerente come Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. All’epoca, però, di sviluppo sostenibile si parlava soltanto, eravamo ancora lontani dal confrontarci con gli effetti reali dell’over production e dell’over consumption… Nel 2010, mi è capitato di poter mettere in pratica questo mio impegno e le competenze tecnico-scientifiche che avevo maturato nel tempo. Nulla di pianificato, oggi direi quasi una casualità: un’azienda ha cominciato a intravedere nella parola “sostenibilità” anche l’aspetto di un coinvolgimento importante dell’area industriale e mi ha offerto la possibilità di salire a bordo.

Quali sono le caratteristiche di un Sustainability Manager di successo?

L. Bruschi | L’ascolto, la voglia di imparare e l’attitudine a mettersi continuamente in discussione. Il lavoro di squadra, la comunicazione, la capacità di individuare soluzioni concrete ad esigenze reali… E poi una buona dose di umiltà: nella sostenibilità, soprattutto, da soli si va poco lontano.

C. Masi | Bisogna essere curiosi, per eccellere, qualunque lavoro si faccia. E a maggior ragione in un settore come quello della moda sostenibile che è materia giovane e complessa. Curiosità implica voglia di studiare, di tenersi costantemente aggiornati sulle normative e le accelerazioni del mercato. Un Sustainability Manager, secondo me, deve essere anche un buon comunicatore e penso soprattutto alla comunicazione interna: se non c’è condivisione e coinvolgimento a livello di organizzazione aziendale, all’esterno non si può risultare credibili. Semplicemente.

C. Morelli | Passione e curiosità supportate da un bagaglio tecnico importante. Domandarsi come funziona un prodotto o un processo per realizzare dei cambiamenti in grado di ridurne gli impatti deve diventare un esercizio costante, di tutti i giorni. Serve immaginazione, la capacità e la volontà di reiventare le cose quando non sono più utilizzabili. Bisogna sapere ascoltare: l’empatia è fondamentale per far star bene gli altri, per capire come impostare il cambiamento, per stabilire alleanze utili a indirizzare la trasformazione verso obiettivi condivisi. Insieme è più facile, anche se il traguardo è ambizioso e il percorso irto d’ostacoli. Ecco, il Sustainability Manager deve avere anche pazienza, la costanza e la determinazione per andare avanti nonostante qualche inevitabile battuta d’arresto.

Quali sono le difficoltà maggiori che una figura come la vostra si trova ad affrontare?

L. Bruschi | La fatica più grande è adattarsi alle novità continue a livello legislativo, al moltiplicarsi degli standard e alle richieste sempre diverse dei clienti. Mancano spesso i tempi di recupero, la possibilità di consolidare gli obiettivi raggiunti prima che tutto nuovamente cambi.
Valorizzare questa fatica e l’impegno implicito nella realizzazione di progetti concreti di sostenibilità è un’altra difficoltà oggettiva, perché non c’è letteratura sul tema o precedenti a cui fare riferimento certo.
Come Sustainability Manager sono chiamato poi a individuare soluzioni che integrino etica e tutela dell’ambiente con la sostenibilità intesa in accezione economico-organizzativa. Ecco, direi che fra tutte questa è la sfida più impegnativa.

C. Masi | Insisto sulla comunicazione, da leggere in questo caso come capacità di relazionarsi con la direzione o con chi comunque detta le strategie aziendali. Non è facile far digerire il cambiamento e i suoi tecnicismi, trasferendo l’importanza o l’urgenza di certi passi. Rispetto ad altri ruoli di responsabilità dove i precedenti chiaramente non mancano – direttore commerciale, administration manager, ecc. – chi entra in azienda con mansioni e responsabilità da Sustainability Manager difficilmente sarà subito operativo, ma dovrà prima prepararsi il terreno. Più l’organizzazione è complessa, poi, più articolato sarà il suo impegno: un conto è occuparsi di sostenibilità in un’azienda, un altro conto in un brand o in gruppo industriale dove l’impegno è tanto maggiore quanto più estesa e distribuita è la filiera o numerose le ragioni sociali.

C. Morelli | La resistenza al cambiamento è ancora molto forte… Ammettere che si è già superato il limite oltre quale la natura, il pianeta e le persone non sono più in equilibrio fra loro è ancora un esercizio di pochi. Se guardo agli ultimi dieci anni, però, realizzo quanta strada abbiamo fatto tutti insieme. Se oggi il Sustainability Manager è una figura centrale nell’organizzazione e nelle scelte strategiche di tante imprese, significa che abbiamo lavorato bene. Nelle aziende per cui ho lavorato, contrastare certe resistenze ha avuto certamente un impatto positivo.

Le strade per seguire l’esempio di Caterina, Luca e Chiara sono tante e siamo noi, con le nostre personali attitudini, a renderle ognuna una po’ diversa dall’altra. Il punto di partenza, però, dev’essere sempre e comunque la conoscenza, lo studio, l’aggiornamento continuo… Servono le competenze. E le competenze si costruiscono “imparando il mestiere” da chi lo fa sul campo ogni giorno nelle aziende o a supporto delle aziende. Esattamente lo scopo del percorso di training per Sustainability Manager a marchio 4sustainability qualificato AICQ Sicev. La sessione primaverile è in calendario dal 2 marzo al 3 maggio 2023 ed è già possibile iscriversi!